Sinistro stradale: concorso di colpa per il passeggero che non indossa le cinture

Stabilire se la vittima d'un sinistro stradale, al momento del fatto, avesse o non avesse le cinture di sicurezza allacciata, ed in quanta parte l'eventuale omissione di tale cautela abbia concausato il...

20/01/2016

Cassazione Civile, sez. III, sentenza 08/01/2016 n° 126 -

Stabilire se la vittima d'un sinistro stradale, al momento del fatto, avesse o non avesse le cinture di sicurezza allacciata, ed in quanta parte l'eventuale omissione di tale cautela abbia concausato il sinistro, costituiscono accertamenti di fatto, non valutazioni in iure. È quanto ha stabilito la Suprema Corte nella fattispecie in esame. Nello specifico, una donna, vittima di un incidente stradale (in qualità di trasportata) conveniva in giudizio il proprietario del veicolo e la sua assicurazione per ottenere il risarcimento del danno. Sia in primo che in secondo grado, la domanda veniva accolta, attribuendo però alla vittima un concorso di colpa per non avere usato la cintura di sicurezza. La Corte di Cassazione, nel confermare la decisione di merito, ha precisato sul punto che non può chiedersi al giudice di legittimità una valutazione delle prove ulteriore e diversa rispetto a quella adottata dal giudice di merito: infatti “il giudice di merito, al fine di adempiere all'obbligo della motivazione, non è tenuto a valutare singolarmente tutte le risultanze processuali e a confutare tutte le argomentazioni prospettate dalle parti, ma è invece sufficiente che, dopo avere vagliato le une e le altre nel loro complesso, indichi gli elementi sui quali intende fondare il proprio convincimento”. Il sindacato della Corte è infatti limitato a valutare se la motivazione adottata dal giudice di merito sia esistente, coerente e consequenziale: accertati tali requisiti, nulla rileva che le prove raccolte si sarebbero potute teoricamente valutare in altro modo. La ricorrente ha dedotto, altresi’, nel presente giudizio che la Corte d'appello avrebbe commesso l'errore di liquidare il danno alla salute con criteri diversi da quelli risultanti dalle tabelle uniformi predisposte dal Tribunale di Milano, unico corretto criterio di liquidazione. La Cassazione, nel dichiarare il motivo inammissibile, ha precisato che "perché il ricorso non sia dichiarato inammissibile per la novità della questione posta, non è sufficiente che in appello sia stata prospettata l'inadeguatezza della liquidazione operata dal primo giudice, ma occorre che il ricorrente si sia specificamente doluto in secondo grado, sotto il profilo della violazione di legge, della mancata liquidazione del danno in base ai valori delle tabelle elaborate a Milano; e che, inoltre, nei giudizi svoltisi in luoghi diversi da quelli nei quali le tabelle milanesi sono comunemente adottate, quelle tabelle abbia anche versato in atti". Ed invero, nella fattispecie, la ricorrente non ha sollevato la questione in esame nel giudizio d'appello, né ha depositato in quel grado la c.d. "tabella" milanese.

Fonte: www.altalex.com